#Unmuseotantestorie: le spezie, i colori, il collezionismo, lo sport…percorsi tematici di approfondimento

#Unmuseotantestorie è un’iniziativa che coinvolge adulti e bambini attraverso la realizzazione di alcuni percorsi che si svilupperanno on-line dedicati a diversi temi: le spezie, il colore, il Collezionismo e lo sport. Approfondimenti, schede didattiche e consigli di lettura si alterneranno per permettere a grandi e piccini di scoprire l’arte e la storia.

1. LE SPEZIE E LE PIANTE NELLA STORIA

Vi raccontiamo come si possono realizzare colori con l’utilizzo di piante e spezie e come venivano utilizzate dai nostri avi. Per i vostri bimbi delle schede didattiche con curiosità, ricette e giochi scaricabili. E infine un’ interessante lettura a tema.

Gli unguentari dalla Necropoli di Cerrione


“…abbiate cura di piacere, giacché la vostra epoca conosce uomini raffinati.”
(Ovidio, Medicamina faciei femineae, vv 23-24)

Questo è quanto Ovidio ( 43 a.C. – 17 d.C.) suggerisce alle donne rispetto alla cura del corpo, e nei reperti rinvenuti all’interno di svariati siti archeologici, tra cui annoveriamo anche le necropoli romane di Biella e Cerrione, questo suggerimento si traduce in deposizioni di piccoli contenitori in vetro, realizzati attraverso soffiatura libera, che vengono definiti unguentari. Il loro aspetto mostra non solo la maestria con cui gli artigiani sono riusciti a produrre dei vasetti miniaturistici, ma la tenacia di un materiale fragile che è riuscito a resistere al tempo.
Come suggerisce la parola stessa che designa questo oggetto, gli unguentari erano contenitori utili a conservare piccole quantità di unguenti, cioè basi grasse di origine vegetale o animale a cui venivano aggiunti altri ingredienti, come spezie, fiori e piante, di cui si sfruttava non solo la profumazione ma anche il loro potenziale curativo. Plinio ci racconta che a questa miscela venivano aggiunti altri elementi, ognuno con una specifica funzione: in primo luogo il sale il quale faceva in modo che restasse inalterata la natura dell’olio e poi la resina utile a non far svanire immediatamente l’aroma dell’unguento stesso. Ma perché una tale abbondanza di contenitori per unguenti e perché la necessità di utilizzare quotidianamente un balsamo per la pelle? La risposta è certamente da ricercare nelle modalità di detersione del corpo da parte dei romani: niente sapone purtroppo ma una miscela di lisciva e pietra pomice, cioè quello che noi moderni chiameremmo scrub!

La Vergine delle rocce
Copia da Leonardo di Bernardino de’ Conti


Olio, uova, zucchero…Certamente attenendosi al #iorestoacasa, qualcuno di voi si sarà messo ai fornelli rispolverando ricette dimenticate.
Qui non inizieremo a impastare insieme, ma vi sveleremo come alcuni degli ingredienti che siamo abituati a utilizzare in cucina, erano invece fondamentali per preparare colori, tele e tavole. Lo stesso Leonardo sperimentava nuove tecniche che non sempre hanno garantito la durata dell’opera nel tempo.
A proposito di Leonardo, lo sapevate che al Museo c’è una copia di una delle sue opere più famose, la Vergine delle Rocce, dipinta da un pittore milanese all’inizio del Cinquecento, di nome Bernardino de’ Conti?
Per la pittura a tempera, che ha avuto la sua massima diffusione nel Medioevo, fino a buona parte del Quattrocento, si utilizzavano pigmenti colorati che venivano legati con l’uovo e che spesso si ricavavano da quelle che noi usiamo come spezie.
Lo zafferano per esempio era usato per realizzare il colore giallo.
Nella pittura ad olio, invece, i pigmenti venivano mescolati con oli siccativi, come quello di noce, di lino o di papavero, ai quali vengono uniti oli essenziali, come la trementina, ricavata dalla distillazione delle resine di conifere, ma anche l’olio di lavanda o rosmarino.

LE SCHEDE DIDATTICHE


IL CONSIGLIO DI LETTURA


“Un racconto delicato e appassionato alla scoperta delle spezie più amate e della loro anima profonda.
Fra storia e leggenda, scienza e ritualità, Oriente e Occidente, gli aromi, le fragranze, il gusto di oltre 50 ricette, contemporanee e della tradizione”.

2. I COLORI

Un percorso per scoprire quali sensazioni ed emozioni ci trasmette ogni colore e come venivano usati da grandi artisti come Chagall, Picasso o Mirò. Faremo un viaggio nel tempo nell’Antico Egitto per conoscere le abilità degli Egizi nell’usare solo 6 colori detti iwen. E poi giochi e curiosità con le schede didattiche, oltre al nostro consiglio di lettura.

Il colore del culto o il culto del colore?

Stele di Titeniset, calcare, XXVI dinastia, (664-525 a.C.)
Un mondo colorato, è così che gli Egizi immaginavano tutto quanto li circondava, ed anche quello che oggi ci appare sbiadito dall’implacabile lavorio del tempo era abbellito da sgargianti colori, ognuno con il suo valore intrinseco.
Il colore, per gli Egizi iwen, aveva un grandissimo potenziale simbolico, al pari del simbolismo profondo dei soggetti rappresentati. Rispetto ai reperti custoditi all’interno della Sezione egizia del museo, certamente incuriosisce la stele di Titeniset che ci consente di stimolare la fantasia rispetto alle colorazioni utilizzate per rendere i concetti metaforici dell’offerta funebre. L’ uniche traccia di colore apprezzabile sulla superficie della stele è il rosso, per gli egizi deshr, colore di gioia e di vita, steso sul corpo mummiforme di Osiride e sulle giare per il vino, poste al di sotto del tavolo dell’offerta. Altre esigue tracce di colore, nero (km), sono quelle inserite tra i solchi dei pittogrammi, probabilmente utilizzato per enfatizzare maggiormente il segno stesso.


Parlando del colore non si può fare a meno di rivolgere il nostro sguardo verso l’incantevole sarcofago della nostra mummia Taaset. Su un velo di bianco, che uniforma la base, troviamo pennellate che raccontano di come, pur non disponendo di una vasta gamma di colori, l’artista sia riuscito a rendere, in modo raffinato, tratti del viso, vesti e gioielli. Il rosso (deshr), risulta la gradazione di colore maggiormente impiegata sul sarcofago, colore di gioia e vita. Questo il senso della simbologia del colore…

I colori nell’arte tra Mirò, Picasso e Lam

Joan Mirò (Montroig, Spagna 1893-Palma di Majorca 1983)
Joan Mirò Senza titolo  tempera e guache su carta 1950 ca. 34,5 x 44,5

Umore nero? Fifa blu? Quale colore scegliereste per dipingere il mondo in questi giorni?

I colori sono ovunque intorno a noi e la storia ci insegna come l’uomo li abbia caricati di simboli e significati che giornalmente influenzano profondamente il nostro ambiente, i nostri comportamenti, il nostro linguaggio e il nostro immaginario. E’ così nella vita di tutti e lo è – e lo è stato – anche per l’arte.
Pensiamo a un’opera famosissima che tutti abbiamo negli occhi… la grande tela che Picasso dipinge dopo il bombardamento della città di Guernica, 7 metri di larghezza per 3 di altezza, dipinti utilizzando esclusivamente i toni del grigio e del nero, per esprimere tutta la drammaticità dell’evento.
Il grigio, nelle sue diverse sfumature, domina anche l’opera di Wifredo Lam, esposta in museo e donata da Enrico Lucci, in cui figure immaginarie, frutto dell’immaginazione e dei ricordi infantili dell’artista, incombono su di noi come un incubo.
Ritroviamo invece gioia e speranza nell’immaginario fantastico di Joan Mirò, nelle sue linee che prendono forma e che tra pieni e vuoti si colorano di rossi, di verdi e di gialli, infondendo allegria e riportandoci alla mente un universo giocoso.

LE SCHEDE DIDATTICHE


IL CONSIGLIO DI LETTURA


“Non è un caso se vediamo rosso, diventiamo verdi di paura, blu di collera o bianchi come un lenzuolo… I colori veicolano tabù e pregiudizi ai quali obbediamo senza rendercene conto, e possiedono significati nascosti che influenzano il nostro ambiente, i nostri comportamenti, il nostro linguaggio e il nostro immaginario. L’arte, l’architettura, la pubblicità, gli indumenti, le automobili: tutto è regolato dal codice segreto dei colori. La loro storia, ricchissima e sorprendente, racconta l’evoluzione delle mentalità, degli usi e delle società, intrecciando arte, politica, religione, psicologia, sociologia. Con una narrazione brillante e ricca di aneddoti e curiosità, lo storico e antropologo Michel Pastoureau ci guida in un erudito excursus alla ricerca di significati, applicazioni, implicazioni dei colori, per riuscire a districarsi nel labirinto simbolico delle tinte”.

3. IL COLLEZIONISMO

Alzi la mano chi non ha mai collezionato nulla. Figurine, conchiglie, pietre… fin da bambini ci accompagna un irrefrenabile istinto di accumulare tipologie di oggetti simili tra loro. La pratica del collezionare ha caratterizzato la storia dell’uomo fin dalle epoche più antiche. Si è consolidata nel tempo, si è modificata in base all’evoluzione della società, ha attraversato epoche e secoli ed è stata la base per la nascita di molti musei!
Vi siete mai chiesti come e quando sia nato il Museo di Biella? Anche la storia del nostro museo cittadino è una storia di collezioni… e di collezionisti!. Il primo a esprimere il desiderio di veder nascere un “patrio museo” nella propria città fu Quintino Sella, seguito poi da suo figlio Corradino e altri illustri personaggi… ma soltanto nel 1932 Biella riuscirà ad inaugurare il suo Museo. Già all’epoca, numerosi reperti archeologici e opere d’arte erano stati donati da collezionisti privati, che proseguirono anche nei decenni successivi.

Le collezioni archeologiche

Il viaggio, occasione per aprirsi verso nuovi mondi, antiche culture e personali passioni.
Questo ha rappresentato il viaggio per due illustri biellesi, Corradino Sella e Ugo Canepa che, grazie al loro spirito appassionato, all’amore per il collezionismo e alla loro generosità, hanno arricchito le collezioni del Museo di oggetti culturalmente lontani da noi, aprendo una finestra su altri mondi.
Il viaggio di nozze in Egitto fu il pretesto alla base dell’acquisto di circa 400 pezzi da parte di Corradino Sella e i viaggi di affari spinsero Ugo Canepa ad acquistare gli oggetti che rappresentano il nucleo fondante della sezione Culture Precolombiane. Il denominatore comune alla base dei due filoni collezionistici? Il coinvolgimento culturale!


Statua femminile di orante”, Ecuador, cultura Jama-Coaque, 300 a.C.-700 d.C., Collezione Culture Precolombiane

Angela Deodato ci porta alla scoperta delle Culture Precolombiane

Le collezioni storico artistiche

Giuseppe Masserano, Enrico e Maria Guagno, Bruno Blotto Baldo, Sergio Colongo ed Enrico Lucci sono alcuni dei collezionisti che hanno contribuito ad arricchire il nostro Museo con opere d’arte di notevole interesse artistico.
Grazie a loro oggi il Museo espone opere d’arte antica come la tavola di Giovenone o le tre tele di Giovanni Battista Crosato con le storie delle eroine bibliche, numerosi dipinti di Delleani e di altri pittori paesaggisti di fine Ottocento o il capolavoro divisionista di Emilio Longoni e poi ancora, la ricca collezione di artisti surrealisti tra cui Magritte, Chagall, Ernst e Dalì.

Marc Chagall,  “Il tamburino”
gouache su carta intelata, 1950 ca.

Alessandra Montanera ci porta alla scoperta delle opere della Collezione Enrico Lucci

LA SCHEDA DIDATTICA

IL CONSIGLIO DI LETTURA


Kaspar Utz, il protagonista di questo romanzo, è un grande collezionista di porcellane di Meissen che le tempeste della storia hanno condotto a vivere a Praga con i suoi fragili tesori, sotto gli occhi malevoli di uno Stato poliziesco. Ma Utz è un uomo beffardo, un trickster, come certe figurine della commedia dell’arte che adornano la sua collezione. Simile all’imperatore Rodolfo II, saturnina ombra che aleggia sulla città, Utz sa che un collezionista è un teologo in incognito – e per lo più un eretico. Il suo rapporto con gli Arlecchini e le Colombine di Meissen ha qualcosa di idolatrico. Né gli è lontano il sentimento del rabbino Loew verso il Golem. Ma ora la sua vita deve custodire tutto questo, come il più pericoloso dei segreti, dietro una superficie di anonimo squallore.

4. LO SPORT NELLA STORIA E NELL’ARTE

Dalle Olimpiadi ai mosaici degli antichi romani, fino allo sport nella storia dell’arte. Un percorso per chi vuole tenersi in forma anche mentalmente e scoprire storia e curiosità sportive.

Lo sport nell’antichità.
Come sono nati alcuni sport che pratichiamo tutti i giorni

Una palla di gomma che rimbalzava con un’elasticità mai vista prima, giocatori che saltavano come acrobati per colpirla ai fianchi riparati da protezioni di cuoio…”. Questa fu la scena che fece restare a bocca aperta tutta la corte di Carlo V davanti allo spettacolo dei giocatori aztechi che il conquistare Hernàn Cortès aveva inviato in Europa dalle lontane colonie messicane.
Era il 1528, l’anno in cui per la prima volta una strana sfera elastica, realizzata con la linfa dell’albero della gomma portò gli Europei a scoprire il gioco della palla diffuso da millenni in Mesoamerica.
Qui il pitz, come lo chiamavano i Maya, o l’ulama, termine usato dagli Aztechi, ribattezzato poi dagli spagnoli come juego de la pelota, era un’attività ludica in cui si sfidavano due squadre, in un campo rettangolare: i giocatori, sulla base di regole a noi ignote, dovevano mandare la palla nella metà-campo avversaria colpendola solo con le anche, protette da imponenti cinturoni.
Il prezioso reperto esposto a Biella, una riproduzione in pietra di un cinturone, analogo a pochi altri ritrovati in santuari precolombiani, ci fa percepire che il gioco della palla, a differenza del nostro moderno football, aveva anche profondi significati religiosi: la palla come simbolo del moto degli astri, del ciclo eterno e cosmico della vita. I cronisti spagnoli ci narrano che, oltre alla valenza simbolica, esistevano partite in cui si scommetteva persino la propria libertà.



Riproduzione in pietra del cinturone usato dai giocatori di palla – Cultura Golfo del Messico, 600-900 d.C. e riproduzione giocatore di palla, Collezione Culture Precolombiane

Lo sport nell’arte. La collezione Piero Bora

Piero Bora realizza il bozzetto per la copertina della rivista “Itinerari Biellesi” del 1933: una bella e soffice neve aspetta lo sciatore che pianta i propri sci in attesa dell’arrivo della funivia che lo porterà in quota. Sarà forse la cabina della funivia che ci porta ancora oggi nei pressi del Lago del Mucrone? Lo sapevate che fu inaugurata il 15 settembre 1926 e che fu la prima costruita in Piemonte, la sesta in Italia e, all’epoca, la più alta d’Europa? La bella opera grafica di Bora è stata esposta al Museo, per la mostra “Neve. Sport invernali a Oropa. 1920-1960”.


Se c’è un momento storico in cui in Italia lo sport è stato uno degli aspetti su cui più si è insistito nei programmi educativi dei ragazzi, è stato nel ventennio fascista.
A partire dagli anni Trenta furono promosse in tutta Italia delle gare sportive in cui gli atleti dei vari atenei si sfidavano nelle diverse discipline sportive, per conquistare il titolo di “littore”. Ecco perché questi appuntamenti annuali vennero chiamati littoriali. Al Museo si conserva una grande tela di Piero Bora – abile artista biellese, morto prematuramente al fronte – intitolata “I littoriali dello sport“, a ricordo di queste gare disputate anche nel Biellese.

LA SCHEDA DIDATTICA

IL CONSIGLIO DI LETTURA


Eva Cantarella non poteva far mancare ai lettori, nell’anno dei Giochi di Rio de Janeiro, una storia delle Olimpiadi antiche. Perché, se è noto che a Olimpia si incontravano ogni quattro anni i migliori atleti dell’Ellade, sono pochi a sapere – per esempio – quanto duravano i Giochi, che cos’era la tregua sacra, o che a Olimpia esisteva un vero e proprio albergo per atleti e allenatori, oltre che per i tifosi più abbienti. Per non parlare di questioni più complesse, quali la nascita del professionismo e il venir meno degli ideali eroici; il rapporto tra eros e atletismo; le gare falsate (il doping non esisteva ancora, ma la scorrettezza e la corruzione sì). Ettore Miraglia ripercorre invece la storia dei Giochi moderni, a partire dall’edizione di Atene del 1896 voluta dal barone de Coubertin: affronta temi scottanti come il boicottaggio e il doping, passando per le Olimpiadi “mancate” e Settembre Nero.