Presentazione volume “Mariella Perino Opera Omnia”

La passione e la gioia di progettare e creare forme scolpite nella sienite, nel granito, nel marmo e poi le terrecotte, i bronzi, i gioielli d’argento senza tralasciare la sezione dedicata ai disegni. Tutto fluisce con naturalezza ed eleganza attraverso le pagine del libro “Mariella Perino Opera Omnia”, curato dall’arch. Raffaella Greppi, con la collaborazione del fotografo Roberto Ramella, editore Botalla.

Il volume, che ha ricevuto il Patrocinio della Città di Biella per essere stato “dedicato a una delle artiste più meritevoli e affermate del nostro territorio”, verrà presentato al pubblico sabato 29 agosto 2020 alle ore 17,30 presso il Chiostro di San Sebastiano – Museo del Territorio Biellese.
Parlerà la scultrice Mariella Perino, interverranno la curatrice e Carlo Gavazzi.

In caso di maltempo l’evento si terrà presso il Teatro Sociale Villani, a posti limitati, secondo le norme vigenti.

L’evento sarà organizzato in sicurezza seguendo le disposizioni adottate per l’emergenza COVID – 19.

Ingresso libero

Info
Museo del Territorio Biellese, Chiostro di San Sebastiano, Via Q. Sella 54/b, 015.2529345, museo@comune.biella.it

Ingresso gratuito e visite guidate il 28 agosto

In occasione del Concerto a cura della Fondazione Accademia Perosi di venerdì 28 agosto, apertura prolungata per il Museo del Territorio Biellese, con ingresso gratuito dalle 18 alle 21. Possibilità di visita guidata alla mostra “Dentro lo sguardo” alle ore 18 e alle ore 19.15, alla scoperta delle opere presenti nelle collezioni permanenti e nella mostra temporanea. I gruppi potranno essere costituiti da un massimo di 10 persone.

Prenotazione obbligatoria per la visita guidata entro le ore 12 di venerdì 28 agosto allo 015.2529345 o museo@comune.biella.it

Per la visita guidata, i visitatori dovranno essere muniti di mascherina.

Per tutte le informazioni sul Concerto, a prenotazione obbligatoria,  è consultabile il sito https://www.accademiaperosi.org/

Tutti gli eventi saranno organizzati in sicurezza seguendo le disposizioni adottate per l’emergenza COVID – 19.

#domenicalmuseo

Le domeniche di agosto è #domenicalmuseo: ingresso gratuito per tutti!
Inoltre, ogni domenica fino al prossimo 11 ottobre, alle 15.30 e alle 17, visita guidata gratuita con le operatrici della Rete Museale Biellese, Maria Vittoria e Chanice, alla scoperta del museo e delle sue collezioni!
Non è necessaria la prenotazione e il ritrovo è alla biglietteria con un numero massimo consentito di 10 persone per ciascun gruppo.

VISITA GUIDATA + CENA A TEMA

Ultimo evento collaterale alla mostra “DENTRO LO SGUARDO”, che termina il 18 ottobre:

– Venerdì 16 ottobre dalle ore 18.30: “IL GUSTO PER L’ARTE”, VISITA GUIDATA alla mostra + CENA A TEMA in collaborazione con la “Caffetteria Ristorante del Museo”.

Le curatrici della mostra, Alessandra Montanera e Giuliana Morena, accompagneranno i visitatori tra le opere presenti nelle collezioni permanenti e nella mostra temporanea. A seguire, una cena a tema a cura della nuova Caffetteria Ristorante del Museo che presenterà le portate traendo ispirazione dalle opere d’arte e dal tema della mostra.

Numero massimo: 20 persone

Costo: € 3,00 per visita + 20 € cena. Prenotazione obbligatoria entro le 12 di giovedì 15 ottobre allo 015.2529345 o museo@comune.biella.it

Menù:

Tomino secco sotto vinaccia con insalata di cavolo viola all’acciuga, uva e cialde croccanti di mais.

Spaghetti al ragù di cotechino con mele e polvere di lenticchie

Paletta biellese con patate e mostarda

Panna ricotta con pere al vino

Bevande escluse

Per la visita guidata, i visitatori dovranno essere muniti di mascherina.

Tutti gli eventi sono organizzati in sicurezza seguendo le disposizioni adottate per l’emergenza COVID – 19.

 

Info:
Museo del Territorio Biellese
Chiostro di San Sebastiano Via Q. Sella 54/b
015.2529345, museo@comune.biella.it www.museo.comune.biella.it

Prorogata la Mostra “DENTRO LO SGUARDO. Occhi che parlano dall’antichità al XXI secolo”

Il Museo presenta, fino al 18 ottobre, un percorso inedito tra le opere delle collezioni permanenti e l’allestimento di una mostra temporanea. Sono presenti opere che fino ad oggi sono state conservate nei depositi e che aspettavano occasioni come questa per essere valorizzate.

Trait d’union è lo sguardo.

Le misure di contenimento post Covid-19 hanno prescritto l’utilizzo della mascherina e oggi, più che mai, gli occhi che incrociamo catturano la nostra attenzione. Spesso contribuiscono a comunicare ciò che in assenza del labiale facciamo fatica a comprendere.

E’ così che gli sguardi presenti in Museo si mettono in mostra, si fanno ammirare e, allo stesso tempo, raccontano storie.

LA MOSTRA

La mostra prevede oltre 30 opere che spaziano dall’antichità alla contemporaneità. Da Bernardino de’ Conti al Morazzone, da Delleani a Calderini, da Longoni a Chagall, fino a Pozzi, Carletti e Ronda. Le collezioni civiche vengono valorizzate attraverso nuove chiavi di lettura,  approfondendone i contesti di provenienza, facendo riemergere storie e legami con il territorio.
Un allestimento chiaro e semplice, supportato da didascalie brevi che in 100 parole presentano e contestualizzano l’opera (ascoltabili tramite  smartphone attraverso un QR code), permetterà al visitatore di ritrovarsi davanti a occhi profondi ed espressivi.
Occhi che non celano lo stato d’animo di chi è stato ritratto, ma anche sguardi apparentemente imperscrutabili o inespressivi che riusciranno comunque a trasmettere sensazioni ed emozioni.

Sono questi alcuni degli elementi che caratterizzano questa esposizione, nata per proporre al pubblico uno “sguardo” inedito sulle collezioni del Museo.

A volte ci riscopriamo incolpevolmente superficiali; la frenesia della vita moderna ci rende incapaci di rallentare per dedicarci ai particolari” dichiara l’Assessore alla Cultura, Massimiliano Gaggino.

A volte, invece, la vita ci regala inaspettate opportunità come una mascherina. Da una parte un impedimento e dall’altra lo stimolo per soffermarci oltre. Dentro lo Sguardo è un’occasione, è l’interpretazione che lo staff del Museo di Biella ha voluto dare a questo particolare momento storico per guardare l’arte con un’attenzione particolare”.

Per saperne di più, scopri le didascalie e scarica il QRCode di approfondimento:

Dentro lo sguardo_dida_12X12_OPERE ESPOSTE

Dentro lo sguardo_dida_12X12_OPERE INEDITE

ORARI e COSTI

Mercoledì, sabato: 15.00 – 18.30
giovedì, venerdì, domenica 10-12.30 / 15-18.30. Tutte le domeniche sono ad ingresso gratuito

Intero € 5,00
Ridotto € 3,00: Soci Fai, Soci Touring Club, dipendenti Città di Biella, possessori Torino+Piemonte Card, possessori Feltrinelli Card, soci Circolo Ricreativo Inps, soci Nova Coop
dipendenti Lanificio F.lli Cerruti, tesserati UPB Università Popolare Biellese, possessori biglietto Fondazione Pistoletto – Cittadellarte.
Ridotto € 1,00: Possessore coupon del giornale “La Nuova Provincia di Biella”.
Gratuito:  Sino a 25 anni, studenti universitari, militari, possessori Abbonamento Musei Torino Piemonte, possessori Pyoucard, insegnanti di ogni ordine e grado mediante esibizione di documento comprovante l’attività svolta, giornalisti in regola con il pagamento delle quote associative mediante esibizione di documento idoneo, diversamente abili e accompagnatore, guide turistiche abilitate.

#Unmuseotantestorie_3: gli ultimi percorsi tematici sulle nostre collezioni

Ultima parte dei nostri percorsi tematici. I temi di questa terza rubrica sono “Terrae_Argilla e Terracotta”, “Lux”, “Moda” e “Tra Scuola e Bottega”.

9. TERRAE_ARGILLA E TERRACOTTA

I primitivi contenitori realizzati con l’argilla, la terracotta usata da Greci e Romani per le abitazioni e la decorazione nel Medioevo con le formelle…e poi un tutorial per dipingere un piatto a figure nere.

Terra…..da vino! Ecco l’antenato dei moderno “decanter”
Vaso “a trottola” in ceramica depurata. Cerrione, – I secolo a.C.

Fantasia e argilla raffinata: gli ingredienti che la creatività del mondo celtico utilizzava per realizzare i propri servizi da tavola…
Il mondo romano, con le sue abitudini raffinate derivate dai Greci, non era ancora arrivato nei territori del Piemonte quando le popolazioni di origine celtica, che qui vivevano e che i Romani consideravano poco civili, producevano con argilla fine e depurata vasi particolari per usi specifici.

Chissà com’era definito in lingua celtica quello che oggi noi chiamiamo, per la sua particolare conformazione, “vaso a trottola”. Un recipiente, a stretta imboccatura e corpo schiacciato, che ritroviamo nei corredi delle fasi preromane, insieme a ciotole e bicchieri in terracotta. A che cosa serviva un vaso così strano? Sembra una borraccia, ma non è assurda una borraccia sulla tavola?

In realtà, la particolare forma, avvicinabile ai nostri moderni “decanter” in vetro, le analisi condotte sui resti ritrovati all’interno di alcuni recipienti, un’iscrizione celtica che parla di “UINOM” (vino?) proprio su uno di questi vasi legano fortemente l’uso di questo vaso al vino.

Se si aggiunge che molte fonti romane affermano che nel nord Italia i Celti producevano un vino molto forte e tannico e, cosa che a Roma destava scalpore, lo bevevano puro, forse abbiamo proprio trovato l’antenato del nostro decanter che consentiva di agitare un po’ il vino scuotendo il vaso senza farlo uscire per ossigenarlo prima di consumarlo.

Le formelle in terracotta

“Tuttavia non so pensare il Piazzo nei secoli XIV, XV e XVI senza che mi si affacci alla mente tutta una fioritura di torri […] poi di archi decorati di mattoni stampati, di finestre con archivolti e stipiti in cotto e case con fasce di bel lavoro ornate.” (Alessandro Roccavilla, L’arte nel Biellese, 1905)

Anche noi, oggi, possiamo ammirare passeggiando per le vie di Biella-Piazzo ancora tanti esempi di questi “mattoni stampati”, che decorano le facciate degli antichi palazzi, il campanile di San Giacomo e i portici lungo Piazza Cisterna. Si tratta di formelle in terracotta, realizzate a stampo e cotte nelle fornaci presenti sul territorio, che si ritrovano anche in altre aree del Piemonte e Lombardia, utilizzate a scopo decorativo.

Alcuni di questi esempi sono conservati in Museo. Un imponente esemplare di cornice, che originariamente decorava una finestra di Casa Mazzia di Crevacuore fu “musealizzata” grazie a Quintino Sella ed esposta sotto il porticato del Chiostro di San Sebastiano, allora sede della Scuola Professionale di Biella.

Le immagini storiche dell’Archivio fotografico della Biblioteca Civica di Biella, ci mostrano come venne allestito.

LE SCHEDE DIDATTICHE


10. “LUX”: LA LUCE NELLA STORIA E NELL’ARTE

Come illuminavano le loro case gli antichi romani? Come utilizzavano la luce i grandi artisti come Caravaggio, Pellizza da Volpedo, Allason o Longoni? Scoprirete tutto con la nuova scheda didattica. In più un foto-tutorial per “disegnare la luce”.

“Plenilunio in alta montagna”, Silvio Allason

Chi non conosce la celebre “Sonata al chiaro di luna” di Beethoven? Chi ignora leggende, credenze ed effetti della luna piena sull’uomo, gli animali e la natura? Chi non si emoziona di fronte allo spettacolo di un plenilunio in una bella notte sgombra dalle nuvole?

La luna ha da sempre attirato la curiosità dell’uomo e la sua luce illumina, davvero, l’oscurità della notte! La suggestione di questo spettacolo è diventata soggetto di celebri opere d’arte, come “La notte stellata” di Van Gogh.

Anche in Museo possiamo ammirare lo spettacolo che si può godere in alta quota, delle montagne innevate che riflettono la luce della luna, con l’opera di Silvio Allason, “Plenilunio in alta montagna”.

Scegliendo un formato orizzontale, in modo da inquadrare al meglio il panorama, il pittore – torinese d’origine e di formazione – sceglie come punto di vista un’altura che si apre verso un’ampia veduta montana che si illumina sullo sfondo dove le nevi delle alte cime riflettono la luce argentea della luna piena.

Lucerna “a volute” e disco decorato. Sez. Archeologica, Cerrione,(metà I secolo d.C.)

Mentre il mondo Mediterraneo dominato dai Greci aveva già dal VII secolo a.C. inventato lampade ad olio in terracotta, nei territorio dell’Italia settentrionale questi pratici oggetti arrivarono più tardi, portati da Etruschi e Romani. Furono proprio questi ultimi che, arrivando nel Biellese per sfruttare la miniera della Bessa nel II secolo a.C., fecero conoscere alle popolazioni indigene le lucerne e soprattutto iniziarono l’importazione del combustibile, l’olio di oliva che qui non si produceva.

Ma prima come ci si illuminava? Con torce in resina, molto più pericolose e meno pratiche e ciò spiega perché le lucerne si diffusero così rapidamente. Un aspetto ad oggi commovente è la loro presenza nelle tombe; come i nostri lumicini nei cimiteri servivano per illuminare la via verso l’Aldilà e già simboleggiavano la luce dell’eternità.

La bella lucerna rinvenuta nel corredo di una ricca signora di Cerrione, vissuta a metà circa del I secolo d.C., è del tipo detto “a becco angolare” per indicare la parte che reca il foro per l’uscita dello stoppino acceso; un altro foro, che serviva per colare l’olio nel serbatoio, era praticato nel disco centrale, che in questo caso è decorato dalla figura di un Erote alato con gli attributi di Ercole, la clava e la pelle di leone, un motivo raffinato presente anche su rilievi in marmo e che quindi ci dimostra come questi “portatori di luce” erano anche oggetti di ornamento domestico.

LE SCHEDE DIDATTICHE


11. LA MODA NELL’ANTICHITA’ E NELLA STORIA DELL’ARTE

La toga degli antichi Romani e le stoffe colorate ispirate alla moda greca o etrusca. Gioielli, calzature e accessori, come le fibule da vedere in Museo. Poi le stoffe di velluto del Rinascimento, ricamate e impreziosite con fili d’oro e d’argento, gli abiti tradizionali di fine Ottocento, fino al famoso “rosa shocking” di Elsa Schiaparelli. E, infine un tutorial, per realizzare la vostra sfilata in Museo.

Il potere dell’anello: anello con gemma incisa in niccolo. Cerrione, (70-120 d.C.)

Nel mondo antico gli anelli erano certo monili prediletti e ambiti dal “gentil sesso”, ma venivano spesso indossati da uomini come esibizione di potere.
Nei territori a nord del Po l’usanza di portare anelli di tradizione italica con verga in ferro e gemma decorata ad intaglio si afferma molto presto, già nel corso del II secolo a.C. e si mantiene anche dopo la completa romanizzazione.

Tra gli anelli che i defunti di Cerrione portarono con sé nella tomba, uno in particolare, è molto interessante.
Fortunatamente la combustione del rogo, che ha deteriorato il metallo della vera, non ha alterato il nobile calcedonio-niccolo della gemma, con stupende caratteristiche striature nere, e la rara decorazione!
E’ incisa una figura simbolica: sull’orlo di un modio (unità di misura per granaglie) a tre sostegni, da cui fuoriescono due spighe di grano (al centro) e due papaveri (ai lati), è fissata una bilancia a bracci uguali.

E’ un soggetto che ha fortuna a partire dall’età augustea (inizio I secolo d.C.), ma è raro e spesso viene ritrovato in ambienti maschili, quali accampamenti militari: infatti gli oggetti rappresentati sono simboli che il mondo romano usava per le distribuzioni dei frutti della terra alla popolazione (annonae) da parte degli imperatori, ma affidata personaggi che ricoprivano, localmente, la carica di aediles, magistrati municipali.

Se aggiungiamo poi il fatto che il diametro del nostro anello è più appropriato per un possessore di sesso maschile e che la sepoltura in cui fu trovato era bisoma, forse coniugale, vediamo come un anello di pregio, diventi, oltre che un prezioso complemento all’abito maschile, anche e soprattutto un simbolo di un’importante carica!

La moda nel Rinascimento

L’abito non fa il monaco, ma…

In Museo, tra le opere del Cinquecento, troviamo i ritratti dei cosiddetti “committenti”, inseriti all’interno di scene sacre che bene si riconoscono perché vestiti con gli abiti dell’epoca.

Il pittore Lanino ritrae i due coniugi ai lati della croce, in atto di preghiera, l’anonimo artista che ha dipinto il grande polittico con l’“Incoronazione della Vergine” ritrae un francescano proprio nello scomparto in cui dipinge San Francesco.

Le due pale laterali, da poco riaccostate alla tavola centrale con la copia della “Vergine delle Rocce” di Leonardo, presentano l’ormai anziano Sebastiano Ferrero con tutti i suoi figli maschi, chi in abiti da religioso chi un abiti civili.
Sono tutte straordinarie testimonianze della moda dell’epoca… per farsi un’idea di come vestivano nel Cinquecento, basta osservare queste opere!

LE SCHEDE DIDATTICHE


12. TRA SCUOLA E BOTTEGA

Come era impostata l’educazione dell’antico Egitto e nell’antica Roma? Scuola come istituto per imparare a leggere, scrivere e fare le operazioni principali, ma anche bottega, all’interno della quale l’artista di turno ampliava le sue competenze, sotto la guida attenta del maestro di bottega. E poi, vi faremo scoprire un nuovo modo di tenere i conti come facevano gli Inca, grazie alla realizzazione di un quipu.

Mantello tessuto in cotone e con riami in lana di alpaca. Perù, Cultura Chancay, XI-XV secolo d.C.

Nei paesi andini del sud America da millenni scuole senza banchi insegnano mestieri per vivere e per tramandare un sapere millenario.

Nell’America del Sud, prima dell’arrivo dei Conquistadores europei, si diventava “donne” se si imparava fin da piccolissime, l’arte della filatura, tessitura e del ricamo. Non esistevano però vere e proprie scuole, con banchi e insegnanti, ma il sapere era tramandato, già dal III millennio a.C., tra le mura domestiche, o anche nei cortili dei villaggi dove le più anziane ed esperte insegnavano alle più giovani.

Si imparava a riconoscere i filati da scegliere perché il tessuto e l’abito erano fondamentali per indicare uno stato religioso o sociale: dall’abito si capiva se una donna era sposata, vedova, o in età da marito! Solo per i vestiario dell’esercito c’erano gruppi di tessitori maschi, che però imparavano alle stesse “scuole”, dalle donne.

Le bambine andavano “a scuola” di tessitura già dai quattro o cinque anni, e iniziavano con un telaio non fisso, ma legato alla a cintura e con l’altro capo ad esempio fissato ad un albero. Il telaio era come la tavoletta cerata dei Greci e dei Romani, era come la pergamena per gli scolari monaci amanuensi nel medioevo era come il nostro…tablet!

Le ragazze ne ricevevano uno proprio quando avevano imparato non solo la tecnica e le regole, ma anche il profondo significato dei tessuti: ad esempio quando avevano imparato che tagliare un tessuto era un’azione “vietata”, dato che il tessuto, come il filo, simbolo della vita, era considerato un essere vivente e quindi “tagliarlo, significava farlo morire”!

Gli esseri con strane antenne che vediamo ricamati con lana di alpaca sul bellissimo mantello del museo sono simboli religiosi tramandati da una scuola millenaria che ancora oggi continua, in quelle regioni, senza grandi cambiamenti.

“Lezione di gruppo” con Lorenzo Delleani

Nel 1889 la cattedra di “Pittura” all’Accademia di Belle Arti di Torino non venne assegnata a Lorenzo Delleani.

Per lui, non fu una delusione, anzi, libero dagli impegni di un insegnamento ufficiale, poté dedicarsi a quei tanti giovani che ben presto si legarono a lui, tanto da poter oggi parlare di una vera e propria “scuola di Delleani”.

Iniziò con i propri consanguinei, con il fratello Celestino più giovane di nove anni, con la nipote Nina che si rivelò una delle sue migliori allieve, con Giovanni Bogliani, figlio della sorella Irene e il cugino Giuseppe Mersi.

Molti di quelli che si avvicinarono alla pittura con lui, rimasero dilettanti, altri invece riuscirono a esprimere al meglio le proprie qualità. Molti erano giovani di buona famiglia che si accostavano alla pittura come parte integrante del proprio percorso formativo.
La più famosa tra tutti fu la contessina Sofia di Bricherasio.

Il luogo migliore per impartire le lezioni era Pollone, durante la bella stagione. Le lezioni si articolavano nella copia pura e semplice delle tavolette del maestro per imparare a usare il colore e, solo successivamente, veniva introdotta la copia dal vero, sotto la supervisione del Maestro che, non di rado, apportava personalmente correzioni e modifiche all’elaborato, talvolta anche piuttosto estese.

LE SCHEDE DIDATTICHE

#unmuseotantestorie_2: la spiritualità, la rappresentazione del sé, il gioco…nuovi percorsi di approfondimento

Prosegue la rubrica #unmuseotantestorie con nuovi percorsi dedicati alla spiritualità, alla rappresentazione del sé, al gioco e all’acqua

5. LA SPIRITUALITA’ DALL’ANTICHITA’ AL NOVECENTO

Dalle incisioni dell’uomo preistorico, alle sperimentazioni di Kandiskij: quanto la dimensione spirituale ha influenzato l’arte e la storia dell’umanità.

La spiritualità nella pietra: una stele che visse tre volte… 

Possiamo oggi affermare che questa enorme lastra di granito, recuperata a Biella nel 1922 nel luogo dove anticamente sorgeva la Rotonda di S. Eusebio, ebbe tre vite. In che senso?
In età romana venne ricavata incidendo per un altezza superiore ai 2 metri un banco di roccia sul quale erano state intenzionalmente tracciate, in epoca preromana, piccole cavità, chiamate dagli studiosi coppelle: sono simili a quelle rinvenute su molte lastre della Bessa Biellese e dell’arco alpino italiano ed erano forse servite durante rituali all’aperto per versare e far scorrere liquidi (latte o vino).
Quindi la prima vita della roccia fu a servizio della spiritualità collettiva.
La lastra ottenuta, di forma rettangolare, fu quindi usata nel I secolo d.C. per ospitare questa iscrizione:
Sex(tus) · Luc=retius M. f
Era diventata l’iscrizione funeraria di Sesto Lucrezio, figlio di Marco, sicuramente uno dei romani che abitavano il biellese. E’ questo uno dei documenti epigrafici latini più antichi del Piemonte settentrionale, a giudicare da onomastica e paleografia, come si nota ad esempio dalla forma ancora “arcaica” della M.
Ma la stessa lastra, molto più tardi, venne riusata come coperchio di sarcofago, con la parte inscritta rivolta verso l’interno, mentre sul retro era ricavato il tipico profilo a doppio spiovente. La seconda e la terza “vita” della lastra di pietra furono dunque destinate al culto funerario privato.


Stele funeraria di Sextius Lucretius, inizio I secolo d.C.

Arte e spiritualità: cosa vi viene in mente?

Sono tante le opere che hanno percorso la storia dell’arte legate a temi religiosi e nate per decorare le nostre chiese, ma ce ne sono tante altre che vanno dritte a colpire la nostra sfera emozionale.
Nella storia dell’arte contemporanea, all’inizio del Novecento, c’è stata una rivoluzione. A farla fu Kandinsky e l’aveva annunciata scrivendo un libro intitolato “Lo spirituale nell’arte”. Con lui nasce l’arte astratta, e dopo di lui, molti artisti non rappresenteranno più la realtà come avevano fatto fino ad allora ma utilizzeranno forme, linee e colori per esprimere i propri sentimenti.
Guardiamo il nostro “Concetto spaziale” di Lucio Fontana che bucava le tele per creare “una dimensione infinita, (…) più in là della prospettiva, (…) corrispondente al cosmo” e proiettare l’oggetto al di là dei suoi limiti fisici.


Lucio Fontana, “Concetto spaziale”, Collezione Lucci

LA SCHEDA DIDATTICA

IL CONSIGLIO DI LETTURA


“Nell’agosto del 1910, a Murnau in Baviera, Wassily Kandinsky termina uno degli scritti più singolari del secolo. Si intitola “Lo spirituale nell’arte”. Non è una dichiarazione di poetica, non è un trattato di estetica, non è un manuale di tecnica pittorica. È un libro di profezie laiche, in cui misticismo e filosofia dell’arte, meditazioni metafisiche e segreti artigianali si sovrappongono e si confondono, nel presentimento di un’arte nuova. L’aurora della pittura, che Kandinsky crede di annunciare, si riverbera anche sulle sue pagine, che ci appaiono insieme incerte e perentorie, divise tra ombra e chiarore.” (Dalla postfazione di Elena Pontiggia)

6. LA RAPPRESENTAZIONE DEL SE’

Dal sarcofago della mummia e dai reperti archeologici, fino agli stemmi, ai ritratti su commissione e ai loghi moderni: come l’uomo ha rappresentato sé stesso.

Il pugnale del “capo”: pugnale in bronzo “tipo Montemerano”, 1800-1600 a.C.

Fare sfoggio di oggetti rari e preziosi è la forma più usata nell’antichità per mostrare se stessi, soprattutto quando si è importanti…
Il più notevole esemplare di pugnale in bronzo a manico fuso presente in un museo italiano ci racconta un’affascinante storia di uomini, di abilità tecniche e di potere.
Forgiato da un abilissimo artigiano del bronzo più 3500 anni fa, è eccezionale per lunghezza (44 centimetri !) e per l’elaborato manico fissato alla lama da un’elsa con chiodini. Ma ciò che ci cattura di più è soprattutto per la finezza della decorazione presente su entrambi i lati della lama triangolare: chi ha potuto con tale precisione eseguire quelle perfette nervature e quelle file di triangoli incisi e campiti col tratteggio?
Gli archeologi sanno che questo tipo di pugnali a manico fuso venivano prodotti nelle officine della valle del Rodano e nella penisola italiana dal 1800 al 1600 a.C.: il nostro probabilmente arriva da ateliers toscani.
Ma come mai è arrivato nel territorio biellese e, soprattutto, a che cosa serviva?
Nell’età del bronzo i pugnali a manico fuso erano beni destinati esclusivamente ai personaggi eminenti, che così affermavano una supremazia come guerrieri; la loro vasta diffusione potrebbe essere legata alla consuetudine del dono tra capi comunità come strumento per allacciare relazioni diplomatiche. Il loro ritrovamento ci svela quindi una fitta rete di rapporti tra popolazioni, basati sullo scambio e anche sull’imitazione di raffinati modelli tecnologici e culturali.

Lo stemma della famiglia Ferrero

Lo stemma della famiglia Ferrero, nobile famiglia biellese, spicca un po’ ovunque all’interno del complesso di San Sebastiano. Sulle volte, tra le decorazioni a grottesca, sulle vetrate in chiesa ma anche negli ambienti dell’ex convento. A dare avvio al cantiere all’inizio del ‘500 fu proprio Sebastiano Ferrero, che a quel tempo, dopo aver ricoperto importanti cariche amministrative alla corte sabauda, si trovava a Milano, al servizio di Luigi XII.
In una delle sale al pian terreno (quella che oggi è la biglietteria dal Museo), al centro del soffitto, ritroviamo lo stemma di famiglia con il leone rampante, all’interno dello scudo, su fondo bianco. In questo caso le iniziali ai lati –  A e F – ci riportano ad Agostino Ferrero, uno dei figli di Sebastiano, che fu anche Vescovo di Vercelli e che probabilmente promosse la campagna decorativa del refettorio del convento (oggi sala conferenze).

LA SCHEDA DIDATTICA

7. IL GIOCO

Dai giochi antichi, come “Il gioco delle noci” degli antichi Romani, la trottola trovata a Pompei o le prime bambole, fino al gioco nella storia dell’arte, da “I bari” di Caravaggio, fino al capitolo dedicato ai giochi presenti nel manifesto futurista del 1915.

Il gioco è donna: pedine da gioco in vetro, Cerrione (BI), 70-100 d.C.

Per gli antichi Romani c’era sempre tempo per divertirsi, anche quando si era tra le mura domestiche….

“Se muovi le pedine sulla dama, fa in modo che il tuo soldato muoia per mano del nemico di vetro” diceva il poeta romano Ovidio alludendo ad uno dei giochi più diffusi dell suo tempo, il ludus latrunculorum, in cui il riferimento al vetro si spiega col fatto che generalmente le pedine – calculi, milites e latrunculi – erano di vetro.
Quasi duemila anni fa una donna piuttosto ricca moriva nel suo villaggio a Cerrione, un paesino vicino a Biella e…per rendere la sua vita dell’Aldilà il più possibile uguale a quella terrena i suoi cari le ponevano nella tomba oltre ad una collana di ambra, tanti contenitori per profumi e …un gioco!
Gli archeologi hanno infatti ritrovato 18 pedine circolari in vetro blu e bianco trasparente.
Probabilmente in origine le pedine erano venti in totale e erano appoggiate su una tabula lusoria, come i Romani chiamavano le tavole da gioco, che però, invece di essere in marmo o terracotta come quelle delle osterie o dei luoghi all’aperto, era in legno e non si è più conservata.
Pensiamo che gli oggetti all’interno delle tombe siano chiaramente segno delle abitudini dei vivi, quindi con quali giochi da tavolo poteva divertirsi la signora?
Il poeta dell’amore cita anche il duodecim scripta, corrispondente al nostro “tric-trac”, chiamato nei paesi anglosassoni backgammon, e quello, di cui si ignora il nome latino, identificabile con il moderno tris o ancora quello che noi denominiamo “filetto”.
Non importa quali e quanti giochi sapesse fare la signora di Cerrione con le sue amiche o i suoi familiari, il messaggio è certo: “ti sfido!” e “il gioco è vita!”

Ma l’arte è un gioco o il gioco è un’arte?

Dino Buzzati riteneva il lavoro dell’artista un “Mestiere fortunato” e ci racconta il perché…

“Il re guardando meglio, notò […] vari uomini che stavano giocando. Chi giocava coi pennelli e coi colori, chi giocava con la creta, chi giocava con gli affilati bulini. Meravigliato, chiamò il sovrintendente e gli chiese. “Come mai, oggi che è un giorno di lavoro, vedo giovanotti e uomini nel pieno delle forze che al contrario stanno giocando?” “Si tratta degli artisti maestà – rispose quello – ma anch’essi non giocano, lavorano”. “Se mi dicevi ieri che per gli artisti l’arte è il più piacevole gioco!” “è vero- spiegò il sovrintendente ai reali palazzi- l’arte per gli artisti è il più delizioso dei giochi. Nello stesso tempo l’arte, per gli artisti è il più impegnativo ed arduo lavoro.” “Dimodochè, quando giocano lavorano? E quando lavorano giocano?” “Per l’appunto maestà.” Al che il re esclamò “Che gente fortunata!” Ed era vero.

Qui l’artista Giuseppe Bozzalla al lavoro a Gressoney, nel 1910, sull’opera che diventerà “A messa prima” esposta nella nostra sezione storico-artistica. (Archivio Fondazione Piacenza)

LE SCHEDE DIDATTICHE

8. L’ACQUA

Quando a Biella c’era il mare…, la sezione Paleontologica, l’estrazione dell’oro nei torrenti, la piroga del Lago di Bertignano fino all’importanza dell’acqua nello sviluppo dell’industria manifatturiera raccontata anche dai dipinti di Giuseppe Bozzalla.

E poi un tutorial per realizzare un personalissimo teatrino animato.

Brocche (olpi) e bicchiere romani in vetro. Necropoli di Biella-via Cavour e Cerrione (BI) –I secolo d.C.

Sulla tavola dei Romani all’acqua si preferivano altre bevande, ma certo l’acqua era fondamentale per realizzarle e servirle…
Il poeta comico greco Alexis (IV secolo a.C.) mette in bocca al famoso legislatore Solone: ​​”Già dai carri vendono il vino annacquato, non certo per guadagnare qualcosa in più, ma per permettere agli acquirenti di avere la testa leggera dopo aver bevuto!”. I Romani ereditarono, attraverso gli Etruschi, l’usanza di bere vino da Greci ma…non era vino puro! si trattava di una miscela con l’acqua che avveniva in grandi crateri e di solito era un rapporto di tre parti di acqua e una di vino.
L’acqua utilizzata per la diluizione del vino proveniva da una fonte, una fontana corrente incontaminata, o da un pozzo naturale freddo. Così insieme alla miscelazione si otteneva anche il raffreddamento. Diffusa era la pratica di utilizzare l’acqua sciolta della neve, che, come è noto, si conservava anche in estate per poi commercializzarla. L’imperatore romano Eliogabalo offriva al popolo vino rosatum, aromatizzato con petali di rosa o vino mielato appositamente sistemato in piscine e in tinozze da bagno!
Il vino romano era “condito” con diverse spezie e aromi, il mulsum ottenuto con l’aggiunta di pepe e miele fresco; era usata anche la resina che ancora oggi caratterizza il famoso vino greco…addirittura la pece e la mirra!
Sulle tavola i Romani portavano brocche, dette olpi, in terracotta che, a partire dall’età dell’imperatore Tiberio, lasciarono il posto a veri e propri “servizi” composti anche da coppe e bicchieri, sempre più raffinati in vetro naturale o colorato, materiale igienico, trasparente, espresso in forme eleganti e colorate.

Yves Tanguy “Sortons”, olio su tela, 1927, Collezione Lucci

Paesaggio acquatico o desertico? Certamente sospeso in una dimensione spazio-temporale impossibile da circoscrivere.
Era così, il mondo pittorico di Yves Tanguy. Autodidatta, trascorre la prima parte della sua vita a Parigi, dove nel 1923 conosce Giorgio De Chirico e rimane folgorato dalla sua opera, da cui sarà molto influenzato, pur riuscendo a rielaborarla in modo personale.
Entrerà a far parte del gruppo dei Surrealisti, dedicandosi a una pittura che rispecchia l’immaginario fluido e indeterminato che caratterizzerà l’intera sua produzione. Paesaggi interpretabili come fondali marini o estensioni desertiche, in cui galleggiano elementi biomorfici privi di peso, che proiettano dietro di sé ombre nettamente profilate.
Anche in Sortons!, una piccola tela, donata al Museo da Enrico Lucci, ritroviamo questa atmosfera sospesa. Realizzata nel 1927, fu esposta alla prima personale parigina del pittore che si tenne presso la Galerie Surréaliste, diretta da André Breton.

LE SCHEDE DIDATTICHE

 

#museichiusimuseiaperti: alla scoperta di opere e reperti del Museo

#museichiusimuseiaperti è un’iniziativa destinata agli appassionati attraverso focus dedicati alle sezioni presenti in Museo: opere d’arte e reperti esposti nelle collezioni Storico-Artistiche e Archeologiche saranno presentati agli utenti in maniera approfondita raccontandone storia, tecniche e curiosità.

I focus sulle opere e sui reperti

1. Lorenzo Delleani, Mucca al pascolo, olio su tavoletta, 1884, Collezione Lucci


L’interesse per la pittura di animali si manifesta in Delleani sul finire degli anni Settanta con dipinti come il “Torello” del 1878 ma si precisa solo anni dopo, con un gruppo di opere realizzate nel settembre del 1884 di cui la nostra tavoletta, datata 13.9.84, fa parte.
“Le zampe posate sull’estremo lembo d’un pendio subito dopo lambito da un mare di nebbia, la mucca al pascolo, che per prima Delleani dipinse come un ‘a solo’ sul finir di quell’estate, mette già bene in evidenza la ricerca dello scorcio in controluce” (A. Dragone, tratto da “La Collezione E. Lucci”).
Ricerca approfondita anche in altre due opere del gruppo “La mucca nera” e “Mucca e vitello” (Torino, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea), dipinte il 23 e 24 settembre – che, come la nostra, mostrano il grande fascino esercitato sull’artista dal contrasto fra toni scuri del manto degli animali e gli effetti luminosi del fondo. (Da “La Collezione E. Lucci)

2. Le collane d’ambra dalla Necropoli di Via Cavour, Biella

(I secolo a.C. – III secolo d.C. )


Giunta in pianura Padana dalle lontane regioni abitate dai Germani del Mare del Nord, l’ambra era utilizzata per realizzare collane che, come indicato da Plinio il Vecchio nella sua “Naturalis Historia”, indossavano le contadine.
Stando a quanto afferma lo storico, l’ambra aveva un importante potere terapeutico contro i malanni della gola provocati facilmente dall’acqua delle Alpi. I vaghi che andavano a creare le collane erano semplici elementi ovoidali, forati, in numero costantemente dispari.

3. Giuseppe Pellizza da Volpedo, Raggio di sole, olio su tela,

1889-’90, Collezione Blotto Baldo


La piccola tela ritrae un interno di una camera da letto dal pavimento in legno e dalle pareti nude, in cui entra, divenendone protagonista un raggio di sole che illumina e sottolinea il candore del lenzuolo.
“Raggio di sole”, risale agli anni in cui Pellizza, anche se per limiti di età non poteva più essere iscritto regolarmente ai corsi accademici, frequentava l’Accademia Carrara di Bergamo ed era stato ammesso come “allievo particolare del prof. Tallone” (Scotti, 1986, 10). Di lì a breve, dopo un soggiorno a Parigi in occasione dell’Esposizione Universale, sentirà la necessità di studiare e lavorare dal vero, prestando particolare attenzione agli effetti di luce e avvicinandosi sempre più alla ricerca divisionista che avrebbe poi condiviso, negli anni a venire, con gli amici Plinio Nomellini e Angelo Morbelli.
L’ingresso dell’opera tra le collezioni del Museo Civico avvenne nel 1952, in occasione del riallestimento postbellico delle sale espositive.
(Alessandra Montanera, da “Bruno Blotto Baldo e la Collezione del Museo del Territorio Biellese”)

4. Quando a Biella c’era il mare, Sezione Paleontologica


Gli affioramenti biellesi risalgono al Pliocene. Fino 2,5 milioni di anni fa, l’area in cui si trova il Biellese era dominata da alti promontori, tra cui si insinuavano bracci di mare poco profondo. Le onde si infrangevano sulle coste rocciose e le acque dei fiumi si mescolavano con le acque del mare.
Dove ora si trova Cossato, ad esempio, alte pareti incorniciavano una #spiaggia di sabbia fine. Il paesaggio sottomarino era simile a quello dell’attuale Mediterraneo: nei primi 20-40 m di profondità, ampie praterie di Posidonia crescevano con le radici nel fondale sabbioso offrendo cibo e rifugio a molteplici forme di vita.
(dal volume “Dalle origini al Medioevo. La sezione Paleontologica e Archeologica del Museo del Territorio Biellese).

5. Il Trittico di Bernardino de’ Conti

Leonardo da Vinci è sicuramente uno dei nomi più noti della storia dell’arte! Anche tra i suoi contemporanei era molto conosciuto e le sue opere molto ammirate. A Biella esiste una copia antica di uno dei suoi dipinti più famosi: la Vergine delle Rocce. Quella originale oggi è conservata a Londra alla National Gallery, ma in origine era a Milano e fu copiata da Bernardino de’ Conti su richiesta di Sebastiano Ferrero.
Sebastiano Ferrero, biellese d’origine, con una brillante carriera, si trovava all’epoca a Milano come cancelliere del re di Francia, tesoriere generale e generale delle regie finanze in Italia.
Fu lui a volere una copia del grande dipinto di Leonardo, da portare a Biella, a cui fece aggiungere due pannelli laterali su cui si fece ritrarre, insieme ai suoi figli maschi.
Oggi le tre parti – che nei secoli hanno vissuto traversie diverse – sono state ricongiunte ed esposte nel Salone del Cinquecento.

Il commento alle opere e ai reperti

Emilio Longoni

Alessandra Montanera commenta l’opera “Riflessioni di un affamato”


La Piroga di Bertignano

Angela Deodato commenta il reperto


Carlo Carrà

Alessandra Montanera commenta le opere dell’artista esposte al museo


La Necropoli di Biella

Angela Deodato ci porta alla scoperta della Necropoli di Biella


Il bassorilievo in gesso realizzato da Leonardo Bistolfi

Alessandra Montanera ci parla del bozzetto nel quale è raffigurato il pittore Delleani


La Necropoli di Cerrione

Angela Deodato racconta il vasto complesso funerario di Cerrione


Paul Klee

Alessandra Montanera commenta l’opera “Espressione di un volto” di Paul Klee


La Sezione Medievale

Angela Deodato ci parla della sezione medievale del museo che illustra più di mille anni di storia del popolamento biellese


Francesco Tabusso

Alessandra Montanera ci parla dell’artista Francesco Tabusso e del suo “Paesaggio”


La sezione dedicata alla Bessa

Angela Deodato ci parla della sezione dedicata alla Bessa, ora “Riserva Naturale Speciale”


Filippo De Pisis e le sue opere

A Filippo De Pisis e alle sue tre opere esposte al museo è dedicato l’approfondimento di Alessandra Montanera


La Sezione Egizia

Il fascino dell’ Antico Egitto, la mummia Taaset, la Collezione di Corradino Sella e l’importante figura di Ernesto Schiaparelli… Angela Deodato ci porta alla scoperta della “Sezione Egizia” del museo


Il Cinquecento nelle sale del museo

L’approfondimento di Alessandra Montanera  è dedicato al salone del Cinquecento che ospita tavole di artisti novaresi e vercellesi molto attivi sul territorio biellese


La sezione Paleontologica del museo

Angela Deodato ci racconta di quando, cinque milioni di anni fa, a Biella c’era il mare

#Unmuseotantestorie: le spezie, i colori, il collezionismo, lo sport…percorsi tematici di approfondimento

#Unmuseotantestorie è un’iniziativa che coinvolge adulti e bambini attraverso la realizzazione di alcuni percorsi che si svilupperanno on-line dedicati a diversi temi: le spezie, il colore, il Collezionismo e lo sport. Approfondimenti, schede didattiche e consigli di lettura si alterneranno per permettere a grandi e piccini di scoprire l’arte e la storia.

1. LE SPEZIE E LE PIANTE NELLA STORIA

Vi raccontiamo come si possono realizzare colori con l’utilizzo di piante e spezie e come venivano utilizzate dai nostri avi. Per i vostri bimbi delle schede didattiche con curiosità, ricette e giochi scaricabili. E infine un’ interessante lettura a tema.

Gli unguentari dalla Necropoli di Cerrione


“…abbiate cura di piacere, giacché la vostra epoca conosce uomini raffinati.”
(Ovidio, Medicamina faciei femineae, vv 23-24)

Questo è quanto Ovidio ( 43 a.C. – 17 d.C.) suggerisce alle donne rispetto alla cura del corpo, e nei reperti rinvenuti all’interno di svariati siti archeologici, tra cui annoveriamo anche le necropoli romane di Biella e Cerrione, questo suggerimento si traduce in deposizioni di piccoli contenitori in vetro, realizzati attraverso soffiatura libera, che vengono definiti unguentari. Il loro aspetto mostra non solo la maestria con cui gli artigiani sono riusciti a produrre dei vasetti miniaturistici, ma la tenacia di un materiale fragile che è riuscito a resistere al tempo.
Come suggerisce la parola stessa che designa questo oggetto, gli unguentari erano contenitori utili a conservare piccole quantità di unguenti, cioè basi grasse di origine vegetale o animale a cui venivano aggiunti altri ingredienti, come spezie, fiori e piante, di cui si sfruttava non solo la profumazione ma anche il loro potenziale curativo. Plinio ci racconta che a questa miscela venivano aggiunti altri elementi, ognuno con una specifica funzione: in primo luogo il sale il quale faceva in modo che restasse inalterata la natura dell’olio e poi la resina utile a non far svanire immediatamente l’aroma dell’unguento stesso. Ma perché una tale abbondanza di contenitori per unguenti e perché la necessità di utilizzare quotidianamente un balsamo per la pelle? La risposta è certamente da ricercare nelle modalità di detersione del corpo da parte dei romani: niente sapone purtroppo ma una miscela di lisciva e pietra pomice, cioè quello che noi moderni chiameremmo scrub!

La Vergine delle rocce
Copia da Leonardo di Bernardino de’ Conti


Olio, uova, zucchero…Certamente attenendosi al #iorestoacasa, qualcuno di voi si sarà messo ai fornelli rispolverando ricette dimenticate.
Qui non inizieremo a impastare insieme, ma vi sveleremo come alcuni degli ingredienti che siamo abituati a utilizzare in cucina, erano invece fondamentali per preparare colori, tele e tavole. Lo stesso Leonardo sperimentava nuove tecniche che non sempre hanno garantito la durata dell’opera nel tempo.
A proposito di Leonardo, lo sapevate che al Museo c’è una copia di una delle sue opere più famose, la Vergine delle Rocce, dipinta da un pittore milanese all’inizio del Cinquecento, di nome Bernardino de’ Conti?
Per la pittura a tempera, che ha avuto la sua massima diffusione nel Medioevo, fino a buona parte del Quattrocento, si utilizzavano pigmenti colorati che venivano legati con l’uovo e che spesso si ricavavano da quelle che noi usiamo come spezie.
Lo zafferano per esempio era usato per realizzare il colore giallo.
Nella pittura ad olio, invece, i pigmenti venivano mescolati con oli siccativi, come quello di noce, di lino o di papavero, ai quali vengono uniti oli essenziali, come la trementina, ricavata dalla distillazione delle resine di conifere, ma anche l’olio di lavanda o rosmarino.

LE SCHEDE DIDATTICHE


IL CONSIGLIO DI LETTURA


“Un racconto delicato e appassionato alla scoperta delle spezie più amate e della loro anima profonda.
Fra storia e leggenda, scienza e ritualità, Oriente e Occidente, gli aromi, le fragranze, il gusto di oltre 50 ricette, contemporanee e della tradizione”.

2. I COLORI

Un percorso per scoprire quali sensazioni ed emozioni ci trasmette ogni colore e come venivano usati da grandi artisti come Chagall, Picasso o Mirò. Faremo un viaggio nel tempo nell’Antico Egitto per conoscere le abilità degli Egizi nell’usare solo 6 colori detti iwen. E poi giochi e curiosità con le schede didattiche, oltre al nostro consiglio di lettura.

Il colore del culto o il culto del colore?

Stele di Titeniset, calcare, XXVI dinastia, (664-525 a.C.)
Un mondo colorato, è così che gli Egizi immaginavano tutto quanto li circondava, ed anche quello che oggi ci appare sbiadito dall’implacabile lavorio del tempo era abbellito da sgargianti colori, ognuno con il suo valore intrinseco.
Il colore, per gli Egizi iwen, aveva un grandissimo potenziale simbolico, al pari del simbolismo profondo dei soggetti rappresentati. Rispetto ai reperti custoditi all’interno della Sezione egizia del museo, certamente incuriosisce la stele di Titeniset che ci consente di stimolare la fantasia rispetto alle colorazioni utilizzate per rendere i concetti metaforici dell’offerta funebre. L’ uniche traccia di colore apprezzabile sulla superficie della stele è il rosso, per gli egizi deshr, colore di gioia e di vita, steso sul corpo mummiforme di Osiride e sulle giare per il vino, poste al di sotto del tavolo dell’offerta. Altre esigue tracce di colore, nero (km), sono quelle inserite tra i solchi dei pittogrammi, probabilmente utilizzato per enfatizzare maggiormente il segno stesso.


Parlando del colore non si può fare a meno di rivolgere il nostro sguardo verso l’incantevole sarcofago della nostra mummia Taaset. Su un velo di bianco, che uniforma la base, troviamo pennellate che raccontano di come, pur non disponendo di una vasta gamma di colori, l’artista sia riuscito a rendere, in modo raffinato, tratti del viso, vesti e gioielli. Il rosso (deshr), risulta la gradazione di colore maggiormente impiegata sul sarcofago, colore di gioia e vita. Questo il senso della simbologia del colore…

I colori nell’arte tra Mirò, Picasso e Lam

Joan Mirò (Montroig, Spagna 1893-Palma di Majorca 1983)
Joan Mirò Senza titolo  tempera e guache su carta 1950 ca. 34,5 x 44,5

Umore nero? Fifa blu? Quale colore scegliereste per dipingere il mondo in questi giorni?

I colori sono ovunque intorno a noi e la storia ci insegna come l’uomo li abbia caricati di simboli e significati che giornalmente influenzano profondamente il nostro ambiente, i nostri comportamenti, il nostro linguaggio e il nostro immaginario. E’ così nella vita di tutti e lo è – e lo è stato – anche per l’arte.
Pensiamo a un’opera famosissima che tutti abbiamo negli occhi… la grande tela che Picasso dipinge dopo il bombardamento della città di Guernica, 7 metri di larghezza per 3 di altezza, dipinti utilizzando esclusivamente i toni del grigio e del nero, per esprimere tutta la drammaticità dell’evento.
Il grigio, nelle sue diverse sfumature, domina anche l’opera di Wifredo Lam, esposta in museo e donata da Enrico Lucci, in cui figure immaginarie, frutto dell’immaginazione e dei ricordi infantili dell’artista, incombono su di noi come un incubo.
Ritroviamo invece gioia e speranza nell’immaginario fantastico di Joan Mirò, nelle sue linee che prendono forma e che tra pieni e vuoti si colorano di rossi, di verdi e di gialli, infondendo allegria e riportandoci alla mente un universo giocoso.

LE SCHEDE DIDATTICHE


IL CONSIGLIO DI LETTURA


“Non è un caso se vediamo rosso, diventiamo verdi di paura, blu di collera o bianchi come un lenzuolo… I colori veicolano tabù e pregiudizi ai quali obbediamo senza rendercene conto, e possiedono significati nascosti che influenzano il nostro ambiente, i nostri comportamenti, il nostro linguaggio e il nostro immaginario. L’arte, l’architettura, la pubblicità, gli indumenti, le automobili: tutto è regolato dal codice segreto dei colori. La loro storia, ricchissima e sorprendente, racconta l’evoluzione delle mentalità, degli usi e delle società, intrecciando arte, politica, religione, psicologia, sociologia. Con una narrazione brillante e ricca di aneddoti e curiosità, lo storico e antropologo Michel Pastoureau ci guida in un erudito excursus alla ricerca di significati, applicazioni, implicazioni dei colori, per riuscire a districarsi nel labirinto simbolico delle tinte”.

3. IL COLLEZIONISMO

Alzi la mano chi non ha mai collezionato nulla. Figurine, conchiglie, pietre… fin da bambini ci accompagna un irrefrenabile istinto di accumulare tipologie di oggetti simili tra loro. La pratica del collezionare ha caratterizzato la storia dell’uomo fin dalle epoche più antiche. Si è consolidata nel tempo, si è modificata in base all’evoluzione della società, ha attraversato epoche e secoli ed è stata la base per la nascita di molti musei!
Vi siete mai chiesti come e quando sia nato il Museo di Biella? Anche la storia del nostro museo cittadino è una storia di collezioni… e di collezionisti!. Il primo a esprimere il desiderio di veder nascere un “patrio museo” nella propria città fu Quintino Sella, seguito poi da suo figlio Corradino e altri illustri personaggi… ma soltanto nel 1932 Biella riuscirà ad inaugurare il suo Museo. Già all’epoca, numerosi reperti archeologici e opere d’arte erano stati donati da collezionisti privati, che proseguirono anche nei decenni successivi.

Le collezioni archeologiche

Il viaggio, occasione per aprirsi verso nuovi mondi, antiche culture e personali passioni.
Questo ha rappresentato il viaggio per due illustri biellesi, Corradino Sella e Ugo Canepa che, grazie al loro spirito appassionato, all’amore per il collezionismo e alla loro generosità, hanno arricchito le collezioni del Museo di oggetti culturalmente lontani da noi, aprendo una finestra su altri mondi.
Il viaggio di nozze in Egitto fu il pretesto alla base dell’acquisto di circa 400 pezzi da parte di Corradino Sella e i viaggi di affari spinsero Ugo Canepa ad acquistare gli oggetti che rappresentano il nucleo fondante della sezione Culture Precolombiane. Il denominatore comune alla base dei due filoni collezionistici? Il coinvolgimento culturale!


Statua femminile di orante”, Ecuador, cultura Jama-Coaque, 300 a.C.-700 d.C., Collezione Culture Precolombiane

Angela Deodato ci porta alla scoperta delle Culture Precolombiane

Le collezioni storico artistiche

Giuseppe Masserano, Enrico e Maria Guagno, Bruno Blotto Baldo, Sergio Colongo ed Enrico Lucci sono alcuni dei collezionisti che hanno contribuito ad arricchire il nostro Museo con opere d’arte di notevole interesse artistico.
Grazie a loro oggi il Museo espone opere d’arte antica come la tavola di Giovenone o le tre tele di Giovanni Battista Crosato con le storie delle eroine bibliche, numerosi dipinti di Delleani e di altri pittori paesaggisti di fine Ottocento o il capolavoro divisionista di Emilio Longoni e poi ancora, la ricca collezione di artisti surrealisti tra cui Magritte, Chagall, Ernst e Dalì.

Marc Chagall,  “Il tamburino”
gouache su carta intelata, 1950 ca.

Alessandra Montanera ci porta alla scoperta delle opere della Collezione Enrico Lucci

LA SCHEDA DIDATTICA

IL CONSIGLIO DI LETTURA


Kaspar Utz, il protagonista di questo romanzo, è un grande collezionista di porcellane di Meissen che le tempeste della storia hanno condotto a vivere a Praga con i suoi fragili tesori, sotto gli occhi malevoli di uno Stato poliziesco. Ma Utz è un uomo beffardo, un trickster, come certe figurine della commedia dell’arte che adornano la sua collezione. Simile all’imperatore Rodolfo II, saturnina ombra che aleggia sulla città, Utz sa che un collezionista è un teologo in incognito – e per lo più un eretico. Il suo rapporto con gli Arlecchini e le Colombine di Meissen ha qualcosa di idolatrico. Né gli è lontano il sentimento del rabbino Loew verso il Golem. Ma ora la sua vita deve custodire tutto questo, come il più pericoloso dei segreti, dietro una superficie di anonimo squallore.

4. LO SPORT NELLA STORIA E NELL’ARTE

Dalle Olimpiadi ai mosaici degli antichi romani, fino allo sport nella storia dell’arte. Un percorso per chi vuole tenersi in forma anche mentalmente e scoprire storia e curiosità sportive.

Lo sport nell’antichità.
Come sono nati alcuni sport che pratichiamo tutti i giorni

Una palla di gomma che rimbalzava con un’elasticità mai vista prima, giocatori che saltavano come acrobati per colpirla ai fianchi riparati da protezioni di cuoio…”. Questa fu la scena che fece restare a bocca aperta tutta la corte di Carlo V davanti allo spettacolo dei giocatori aztechi che il conquistare Hernàn Cortès aveva inviato in Europa dalle lontane colonie messicane.
Era il 1528, l’anno in cui per la prima volta una strana sfera elastica, realizzata con la linfa dell’albero della gomma portò gli Europei a scoprire il gioco della palla diffuso da millenni in Mesoamerica.
Qui il pitz, come lo chiamavano i Maya, o l’ulama, termine usato dagli Aztechi, ribattezzato poi dagli spagnoli come juego de la pelota, era un’attività ludica in cui si sfidavano due squadre, in un campo rettangolare: i giocatori, sulla base di regole a noi ignote, dovevano mandare la palla nella metà-campo avversaria colpendola solo con le anche, protette da imponenti cinturoni.
Il prezioso reperto esposto a Biella, una riproduzione in pietra di un cinturone, analogo a pochi altri ritrovati in santuari precolombiani, ci fa percepire che il gioco della palla, a differenza del nostro moderno football, aveva anche profondi significati religiosi: la palla come simbolo del moto degli astri, del ciclo eterno e cosmico della vita. I cronisti spagnoli ci narrano che, oltre alla valenza simbolica, esistevano partite in cui si scommetteva persino la propria libertà.



Riproduzione in pietra del cinturone usato dai giocatori di palla – Cultura Golfo del Messico, 600-900 d.C. e riproduzione giocatore di palla, Collezione Culture Precolombiane

Lo sport nell’arte. La collezione Piero Bora

Piero Bora realizza il bozzetto per la copertina della rivista “Itinerari Biellesi” del 1933: una bella e soffice neve aspetta lo sciatore che pianta i propri sci in attesa dell’arrivo della funivia che lo porterà in quota. Sarà forse la cabina della funivia che ci porta ancora oggi nei pressi del Lago del Mucrone? Lo sapevate che fu inaugurata il 15 settembre 1926 e che fu la prima costruita in Piemonte, la sesta in Italia e, all’epoca, la più alta d’Europa? La bella opera grafica di Bora è stata esposta al Museo, per la mostra “Neve. Sport invernali a Oropa. 1920-1960”.


Se c’è un momento storico in cui in Italia lo sport è stato uno degli aspetti su cui più si è insistito nei programmi educativi dei ragazzi, è stato nel ventennio fascista.
A partire dagli anni Trenta furono promosse in tutta Italia delle gare sportive in cui gli atleti dei vari atenei si sfidavano nelle diverse discipline sportive, per conquistare il titolo di “littore”. Ecco perché questi appuntamenti annuali vennero chiamati littoriali. Al Museo si conserva una grande tela di Piero Bora – abile artista biellese, morto prematuramente al fronte – intitolata “I littoriali dello sport“, a ricordo di queste gare disputate anche nel Biellese.

LA SCHEDA DIDATTICA

IL CONSIGLIO DI LETTURA


Eva Cantarella non poteva far mancare ai lettori, nell’anno dei Giochi di Rio de Janeiro, una storia delle Olimpiadi antiche. Perché, se è noto che a Olimpia si incontravano ogni quattro anni i migliori atleti dell’Ellade, sono pochi a sapere – per esempio – quanto duravano i Giochi, che cos’era la tregua sacra, o che a Olimpia esisteva un vero e proprio albergo per atleti e allenatori, oltre che per i tifosi più abbienti. Per non parlare di questioni più complesse, quali la nascita del professionismo e il venir meno degli ideali eroici; il rapporto tra eros e atletismo; le gare falsate (il doping non esisteva ancora, ma la scorrettezza e la corruzione sì). Ettore Miraglia ripercorre invece la storia dei Giochi moderni, a partire dall’edizione di Atene del 1896 voluta dal barone de Coubertin: affronta temi scottanti come il boicottaggio e il doping, passando per le Olimpiadi “mancate” e Settembre Nero.